La Corte costituzionale ha ribadito che per ottenere la rettificazione di sesso non è obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari.
Il Tribunale ordinario di Trento aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art.1, comma 1, della L. 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso) secondo il quale “la rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali“.
Ad avviso del Tribunale di Trento, la disposizione censurata si poneva in contrasto con gli artt. 2 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, poiché la previsione della necessità, ai fini della rettificazione anagrafica dell’attribuzione di sesso, dell’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali attraverso trattamenti chirurgici altamente invasivi pregiudicherebbe gravemente l’esercizio del diritto fondamentale alla propria identità di genere.
Denunciava, inoltre, il contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., per l’irragionevolezza insita nella subordinazione dell’esercizio di un diritto fondamentale, quale il diritto all’identità sessuale, al requisito della sottoposizione della persona a trattamenti sanitari (chirurgici o ormonali), estremamente invasivi e pericolosi per la salute.
La Corte costituzionale, dopo un attento esame della fattispecie oggetto del giudizio di rimessione, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Secondo la Corte, infatti, la possibilità di un’interpretazione della disposizione censurata, rispettosa dei valori costituzionali di libertà e dignità della persona umana, è stata già individuata e valorizzata sia dalla giurisprudenza di legittimità, sia da quella costituzionale.
Già la Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 161 del 1985 ha riconosciuto che “la Legge n. 164/1982 si colloca … nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie ed anomale“.
A questa si aggiunga la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 15138/2015, ha ritenuto che, per ottenere la rettificazione dell’attribuzione di sesso nei registri dello stato civile, non sia obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari. Invero, si è riconosciuto che l’acquisizione di una nuova identità di genere possa essere il risultato di un processo individuale che non postula la necessità di tale intervento, purché la serietà ed univocità del percorso scelto e la compiutezza dell’approdo finale siano oggetto di accertamento anche tecnico in sede giudiziale.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 221/2015, ha riconosciuto che la disposizione censurata “costituisce l’approdo di un’evoluzione culturale ed ordinamentale volta al riconoscimento del diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona (art. 2 Cost.e art. 8 della CEDU)”.
Alla luce di questa evoluzione, che è non solo ordinamentale ma anche culturale, si può affermare che la mancanza di un riferimento testuale alle modalità (chirurgiche, ormonali, ovvero conseguenti ad una situazione congenita), attraverso le quali si realizzi la modificazione, “porta ad escludere la necessità, ai fini dell’accesso al percorso giudiziale di rettificazione anagrafica, del trattamento chirurgico, il quale costituisce solo una delle possibili tecniche per realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali. … Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato dal rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico“.
Alla luce dei principi sopra affermati, va ribadito che l’interpretazione costituzionalmente adeguata della Legge n. 164/1982 consente di escludere il requisito dell’intervento chirurgico di normoconformazione.
Del resto, in un paese civile l’identità sessuale viene accertata tramite i documenti di identità, e non per mezzo di un’ispezione corporale.
E tuttavia ciò non esclude affatto, ma anzi avvalora, la necessità di un accertamento rigoroso non solo della serietà e univocità dell’intento, ma anche dell’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata; percorso che corrobora e rafforza l’intento così manifestato.
Quindi, in conclusione, per riconoscere il cambio dell’identità sessuale di una persona il giudice dovrà prendere in considerazione la sussistenza di diversi elementi, tra i quali non figura l’intervento chirurgico.
In particolare, la Corte ha stabilito che è necessario accertare:
- la serietà e l’univocità dell’evento;
- l’intervenuta oggettiva transizione dell’identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata.
Per la Corte Costituzionale quindi è sufficiente che la persona dimostri di aver già esercitato il proprio diritto all’identità di genere e che lo abbia fatto in maniera definitiva.
Affinché questo diritto sia stato esercitato, però, non è obbligatorio sottoporsi all’intervento chirurgico, basta anche che il richiedente sia stato protagonista di determinati comportamenti.
Ad esempio l’aver manifestato la propria condizione nella famiglia, nella rete degli affetti e nelle formazioni di partecipazione politica e sociale.
Il trattamento chirurgico è solo una delle possibili tecniche con le quali realizzare l’adeguamento dei caratteri sessuali ma non l’unica.