Chi agisce per ottenere gli alimenti nei confronti dei parenti obbligati, lo fa per ottenere una somma che non deve superare quanto sia necessario per la sua sussistenza, senza, quindi, alcun riferimento a servizi o prestazioni assistenziali o socio-sanitarie.
Il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, recante il c.d. nuovo ISEE, non prevede una compartecipazione dei familiari, come dimostrato dal fatto che i nuclei familiari rilevanti ai fini ISEE non si estendono fino a ricomprendere i soggetti tenuti a prestare i cd. alimenti.
In primo luogo cerchiamo di capire cosa debba intendersi per alimenti
Per alimenti intendiamo quelle prestazioni di assistenza materiale dovute per legge, da determinati soggetti tassativamente indicati dalla normativa, alla persona che si trova in stato di bisogno, al fine di garantirle una vita dignitosa.
L’elenco dei soggetti tenuti agli alimenti, come detto tassativo, è contenuto nell’art. 433 c.c.: il primo soggetto in grado di adempiere esclude quelli di grado successivo.
I presupposti dell’obbligazione alimentare sono lo stato di bisogno del soggetto e le condizioni economiche della parte obbligata (cfr. art. 438 c.c.).
Per stato di bisogno intendiamo l’incapacità della persona di soddisfare le proprie esigenze primarie di vita, quali, ad esempio, vitto, alloggio, vestiario, assistenza medica, educazione ed istruzione in caso di minore, e, in genere, tutto ciò che consente una vita dignitosa, avuto riguardo alla posizione sociale dell’avente diritto.
L’incapacità del richiedente è valutata considerando le sue eventuali risorse patrimoniali.
Occorre precisare che caratteristica del diritto agli alimenti è il suo carattere personalissimo: questo significa che non potrà essere fatto valere se non dal soggetto in stato di bisogno o eventualmente dal suo rappresentante legale.
Preme evidenziare, inoltre, che l’obbligato ha la possibilità di optare tra il mantenimento del bisognoso presso la propria abitazione oppure versare anticipatamente, al domicilio del creditore, un assegno in danaro.
Analizzando la disciplina dell’ISEE e quella dell’obbligo alimentare emerge in tutta evidenza come si tratti di istituti che rispondono a logiche e finalità diverse.
L’ISEE è uno strumento, lo dice il nome stesso, che mira ad evidenziare la situazione economica del richiedente una prestazione agevolata in modo tale da consentire una compartecipazione al costo in modo proporzionato ed equo.
Chi, invece, richiede gli alimenti agisce nei confronti dei parenti obbligati unicamente per ottenere una somma che non deve superare quanto sia necessario per la sua sussistenza, senza, quindi, alcun riferimento a servizi o prestazioni assistenziali o socio-sanitarie.
E ancora.
L’ISEE considera, di regola, la ricchezza prodotta all’interno del nucleo familiare, mentre l’azione alimentare può essere rivolta anche nei confronti di soggetti al di fuori del nucleo anagrafico.
Come già evidenziato, inoltre, unico soggetto legittimato attivo a richiedere gli alimenti, stante il carattere personalissimo dell’azione, è la persona in stato di bisogno.
La stessa misura degli alimenti è definita, in caso di disaccordo tra i soggetti, dal giudice, e non certo dal Comune (soggetto eventualmente tenuto ad integrare la retta in caso di incapacità dell’utente) o dall’ente erogatore la prestazione assistenziale.
L’incompatibilità tra i due sistemi, del resto, è stata chiarita dallo stesso legislatore che, al termine del biennio sperimentale della prima versione dell’ISEE di cui al d.lgs. n. 109/1998, è intervenuto chiarendo una volta per tutte che “Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’art. 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata” (art. 2, comma 6, decr. 109/98).