Pensione da invalidità civile: cosa fare se l’INPS ne chiede la restituzione?

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L’indebito assistenziale, in mancanza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che accerta il venir meno delle condizioni di legge.


Sono migliaia le richieste di restituzione di prestazioni corrisposte adducendone l’indebita erogazione che l’INPS invia ogni anno. Ovviamente l’indebito può riguardare sia prestazioni di natura previdenziale che prestazioni di natura assistenziale.

Mentre, però, per l’indebito previdenziale il legislatore ha previsto norme specifiche nulla ha, invece, disposto per la materia assistenziale.

L’opinione dell’INPS è che, anche in tema di indebiti assistenziali, dovrebbe applicarsi il principio di cui all’art. 2033 del nostro Codice civile che legittima la restituzione senza limiti dell’indebito formatosi a seguito di un provvedimento di revoca della prestazione da parte dell’ente previdenziale.

Nel corso degli anni, la giurisprudenza è intervenuta per cercare di conciliare l’applicazione di tale regola con la necessità di riconoscere il legittimo affidamento del pensionato, titolare della prestazione assistenziale.

Oggi l’orientamento giurisprudenziale prevalente è, infatti, quello secondo il quale l’errore o l’inerzia dell’ente previdenziale non possa ricadere sul pensionato che, incolpevolmente, abbia ricevuto somme in realtà non dovute.

L’Istituto previdenziale ha, quindi, l’obbligo di comunicare tempestivamente la revoca della prestazione assistenziale e deve procedervi in concreto interrompendone la erogazione, altrimenti non potrà chiedere la restituzione dei i ratei non dovuti e comunque percepiti senza dolo dall’assistito.

Anche la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 28771 del 09.11.2018, ha ribadito tale orientamento affermando che l’indebito assistenziale, in mancanza di norme specifiche che dispongano diversamente, è ripetibile (e, quindi, deve essere restituito) solo successivamente al momento in cui intervenga il provvedimento che ha accertato il venir meno delle condizioni di legge salvo, ovviamente, il caso di dolo dell’interessato.

Del resto, è evidente come il trascorrere del tempo e la mancata adozione di provvedimenti da parte dell’Inps induca l’assistito a credere di poter continuare a percepire la prestazione.

Per la giurisprudenza prevalente, quindi, l’errore o l’inerzia dell’Inps non possono ricadere sul pensionato che senza colpa ha ricevuto somme in realtà non dovute.

Tali principi si estendono anche al caso in cui la prestazione venga ad essere revocata per il venir meno dei requisiti economici e, quindi, per il superamento del limite di reddito previsto.

Nel caso sottoposto all’esame della predetta sentenza, i giudici hanno respinto la richiesta di ripetizione dei ratei di invalidità civile corrisposti ad una pensionata nel 2007 per il superamento dei requisiti reddituali il cui procedimento amministrativo era stato posto in essere solo l’anno successivo, cioè nel 2008.

La Corte ha, infatti, accertato la mancanza di dolo della pensionata comprovata dal fatto che questa aveva comunicato sia nel 2007, sia nel 2008 (per il 2006 e il 2007) i propri redditi all’INPS; pertanto, il ritardo nell’adozione del provvedimento di revoca era addebitabile all’Inps.

Resta inteso, invece, che nel caso del venir meno dei requisiti sanitari, in seguito a visita di revisione, la ripetibilità delle somme indebitamente percepite opererà fin dal momento dell’esito sfavorevole della visita di verifica e, quindi, con effetti retroattivi rispetto alla data di comunicazione del provvedimento di revoca da parte dell’Inps (cfr. art. 37, VIII, L. 448/1998)

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