Come è possibile conciliare il diritto all’inclusione delle persone con disabilità con le inevitabili responsabilità che incombono sui soggetti che erogano servizi alle persone con disabilità?
“Quando perdiamo il diritto di essere differenti,
perdiamo il privilegio di essere liberi.”
Charles Evans Hughes
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Sono passati quasi 12 anni dall’approvazione da parte dell’ONU della Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità.
Tale provvedimento, ratificato dal nostro Stato con la legge 18/2009, è molto importante in quanto, finalmente, si viene a porre l’attenzione sulla persona e non sulla sua disabilità affermando che la finalità del sistema dei servizi alla persona debba essere la promozione dell’affermazione dei diritti e l’inclusione sociale.
Pensiamo, ad esempio, all’art. 19 “Vita indipendente ed inclusione nella società” che viene ad affermare con forza il diritto per le persone con disabilità di scegliere “su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere“.
Promuovere l’inclusione sociale della persona significa sostanzialmente cambiare le regole del gioco dello sviluppo e del funzionamento delle comunità.
In altre parole, l’organizzazione della comunità dovrà rendere evidente il modo con cui ci si è preoccupati di rendere accessibile ogni informazione relativa al servizio erogato dando conto dell’effettivo coinvolgimento della persona e di come si tengono in considerazione le sue opinioni, le sue aspettative.
Solo in questo modo, infatti, ossia rendendo una comunicazione accessibile, si possono creare le condizioni indispensabili affinché le persone con disabilità possano effettivamente partecipare su basi di uguaglianza a un determinato processo.
Ma quali sono le condizioni affinché l’autodeterminazione per le persone con disabilità intellettive che vivono nei servizi residenziali si caratterizzi come un obiettivo ed una metodica ordinaria di modo di operare?
Sarà necessario guardare alla persona con disabilità non più come ad un semplice utente di singoli servizi ma come ad una PERSONA con le sue ESIGENZE, i suoi INTERESSI e le sue POTENZIALITA’ da alimentare e promuovere.
Il tutto implementando le azioni volte alla promozione delle capacità, delle abilità e delle conoscenza e offrendo opportunità di scelta.
A questo punto è legittimo chiedersi come il tema dell’inclusione sociale influirà sulle forme e sui modi di erogazione dei servizi.
Ogni giorno, infatti, gli enti che erogano servizi alla persona con disabilità affrontano i vincoli che la normativa cogente pone rispetto ai bisogni di normalità di tali persone.
Pensiamo ad esempio, agli utenti dei centri diurni e delle comunità che spesso vengono impiegati in piccoli lavoretti (es. distribuzione pasti, taglio dell’erba dei giardini delle comunità, ecc.).
Chi risponderà del danno che la persona con disabilità ha arrecato, ad un terzo o a se stesso, nello svolgimento di tali lavori?
Preme evidenziare che nel nostro ordinamento è venuta meno la presunzione di pericolosità in sé della persona con disabilità intellettiva.
Quindi non possiamo in astratto essere ritenuti responsabili di ogni comportamento della persona a noi affidata.
Il dovere di sorveglianza non può, in altre parole, essere inteso in senso assoluto ma relativo essendo necessaria (e, quindi, sufficiente) un’attività di vigilanza ragionevole rispetto alla situazione concreta (età, personalità, capacità di discernimento considerando anche i risultati positivi eventualmente già ottenuti).
È evidente che un ruolo fondamentale sarà svolto dal Progetto Individuale che, per espressa definizione legislativa, ha l’obiettivo di “realizzare la piena integrazione delle persone disabili, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro” (cfr. art. 14. Legge 08.11.2000, num. 328).
Progetto individuale che non dovrà essere considerato solo come documento che descrive “ciò che si può fare oggi” ma come un atto di pianificazione che si articola nel tempo.