Si deve parlare di discriminazione indiretta ogni qualvolta, con un modo di agire solo apparentemente neutro, si è posta la persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto agli spettatori normodotati.
In Italia, si fa un gran parlare di arte e cultura accessibile ma è sufficiente entrare in un cinema per rendersi conto che la strada da fare è ancora lunga.
Al cinema a chi piace stare seduti nell’odiosissima prima fila?
A nessuno immagino.
Eppure, al cinema gli appositi spazi riservati alle persone con disabilità si trovano solitamente proprio in prima fila, proprio l’odiosissima prima fila.
È quello che è capitato ad Enrico, portatore di handicap grave ed invalido civile al 100% per tetraplegia postraumatica, il 19 febbraio 2007, quando, recatosi con alcuni amici al cinema, era stato di fatto obbligato a posizionarsi negli appositi spazi riservati alle persone con disabilità, collocati in prima fila e a pochi metri dal maxischermo e questo nonostante la sala fosse praticamente vuota.
Enrico si è, quindi, rivolto al Tribunale di Reggio Emilia al fine di accertare se la struttura della sala cinematografica dovesse essere modificata al fine di rendere i posti riservati alle persone con disabilità fruibili (sotto il profilo della qualità e della comodità della visione) al pari degli altri posti destinati ai normodotati.
Il Tribunale, con ordinanza del 7 Ottobre 2011, ha accertato che la società che ebbe a realizzare la sala cinematografica non ha rispettato le norme di buona tecnica costruttiva della stessa, trascurando la regola che suggerisce di collocare i primi posti della sala cinematografica in modo tale da garantire agli spettatori un angolo visuale tra 33 e 35 gradi e collocando i posti destinati a persone con disabilità (sedili che, per tale motivo, possiamo chiamare obbligati) all’interno della linea ideale creata dal capovolgimento dello schermo.
E questo in nome del principio del ragionevole accomodamento, contenuto nella Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, secondo il quale vanno adottate quelle modifiche ed adattamenti, che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo se adottati, e che si rivelano necessarie a garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali.
Nella fattispecie, quindi, si deve parlare di una discriminazione indiretta “giacché con un modo di agire solo apparentemente neutro (ma che in realtà viola le regole di buona tecnica costruttiva sopra riassunte, collocando i posti per i disabili nella zona del ribaltamento) si è posta la persona con disabilità in posizione di svantaggio rispetto agli spettatori normodotati.”
Il Tribunale non si è limitato ad accertare la natura discriminatoria della condotta ma si è anche pronunciato sulla richiesta di cessazione della condotta discriminatoria condannando la società ad eseguire i lavori volti a rimuovere gli effetti della discriminazione oltre, ovviamente, al pagamento delle spese legali e di perizia tecnica.