Caregiver familari, riconosciuti (si spera a breve) per legge.

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Il V Rapporto sull’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia ha registrato per la prima volta un calo fra gli utenti di tutti i servizi pubblici rivolti alla non autosufficienza. O i nostri anziani sono improvvisamente guariti oppure c’è una parte consistente di Welfare coperta dalle famiglie.


Il V Rapporto sull’assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia ha registrato per la prima volta un calo fra gli utenti di tutti i servizi pubblici rivolti alla non autosufficienza.

Combinato con la crescita demografica del numero degli anziani, è un segnale preoccupante.

O i nostri anziani sono improvvisamente guariti oppure c’è una parte consistente di Welfare coperta dalle famiglie.

La risposta, ovviamente, è da ricercare negli altissimi costi delle rette delle case di riposo che hanno raggiunto livelli ormai insostenibili per le famiglie.

Le famiglie, quindi, troppo spesso, scelgono di assistere a casa il familiare non più autosufficiente con gravi ricadute in termini di sovraccarico personale, salute e relazioni.

In Europa sono numerosi i paesi che tutelano da tempo chi assiste i propri cari.

Il nostro paese, invece, ad oggi ha solo uno schema di testo ancora in discussione e frutto dell’unificazione da parte dell’XI Commissione del Senato, dei tre disegni di legge (precisamente i ddl n. 2048, 2128 e 2266) che erano stati proposti in materia.

Preme evidenziare che il testo unificato non prevede interventi per contenere o prevenire il ricorso al caregiving familiare magari potenziando i servizi a sostegno della domiciliarità o della vita indipendente delle persone con disabilità.

Il testo esordisce affermando che “Lo Stato riconosce l’attività di cura non professionale e gratuita prestata nei confronti di persone che necessitano di assistenza a lungo termine a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, svolta nel contesto di relazioni affettive e familiari, ne riconosce il valore sociale ed economico connesso ai rilevanti vantaggi che trae l’intera collettività, la tutela al fine di conciliarla alle esigenze personali di vita sociale e lavorativa.”

L’art. 2 del testo prevede, invece, delle misure di sostegno della figura del familiare che presta assistenza quali:

“a) un’informazione puntuale ed esauriente sulle problematiche dell’assistito, sui suoi bisogni assistenziali e sulle cure necessarie, sui criteri di accesso alle prestazioni sociali, socio-sanitarie e sanitarie, nonché sulle diverse opportunità e risorse esistenti nel territorio che possano essere di sostegno all’assistenza e alla cura;

  1. b) opportunità formative al fine di sviluppare maggiore consapevolezza rispetto al ruolo svolto, anche mediante l’accesso a elementi essenziali allo svolgimento delle azioni di cura e di assistenza;
  2. c) un supporto psicologico, al fine di sostenere il caregiver nella ricerca e nel mantenimento del benessere e dell’equilibrio personale e familiare, per prevenire rischi di malattie da stress fisico-psichico;
  3. d) soluzioni condivise nelle situazioni di emergenza personale o assistenziale segnalate dal caregiver;
  4. e) interventi di sollievo, di emergenza o programmati, attraverso l’impiego di personale qualificato anche con sostituzioni temporanee da svolgere presso il suo domicilio;
  5. f) il supporto di assistenza di base attraverso assistenti familiari o personali;
  6. g) il supporto di reti solidali a integrazione dei servizi garantiti dalle reti istituzionali, al fine di ridurre il possibile isolamento sociale del caregiver assicurandogli un contesto sociale di supporto nella gestione delle persone non autosufficienti;
  7. h) il supporto di gruppi di mutuo soccorso al fine di favorire il confronto e lo scambio di esperienze;
  8. i) consulenze e contributi per l’adattamento dell’ambiente domestico dell’assistito;
  9. l) domiciliarizzazione delle visite specialistiche nei casi di difficoltà di spostamento dell’assistito, compatibilmente con la disponibilità del personale medico e l’organizzazione dei servizi sanitari”.

Sinceramente, alcune di queste misure di sostegno, a parere di chi scrive, dovrebbero essere già esigibili senza necessità di un nuovo provvedimento legislativo.

L’art. 3 del testo unificato definisce, quindi, il Prestatore Volontario di Cura come quella persona che gratuitamente (il che esclude la possibilità di considerare Prestatore Volontario di Cura un familiare assunto come assistente) si prende cura del coniuge ( incluso unione civile o convivente di fatto) di un familiare o di un affine entro il secondo grado e gli affidati.

Non è previsto alcun riferimento formale all’obbligo della convivenza.

Quanto alla situazione personale dell’assistito il testo afferma che deve trattarsi di soggetto che “a causa di malattia, infermità o disabilità gravi, è riconosciuto invalido civile al punto da necessitare assistenza globale e continua ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per almeno 54 ore settimanali, ivi inclusi i tempi di attesa e di vigilanza notturni.”

Il chiaro riferimento all’invalidità civile ci fa concludere per l’esclusione dall’applicazione del testo delle persone cieche e sordo cieche oltre che di tutte quelle persone con invalidità di altra origine (invalidi per servizio, del lavoro). Esclude inoltre i minori pur invalidi civili titolari di indennità di frequenza o i minori ciechi.

L’assistito, o il suo rappresentante legale nel caso di incapacità di intendere o di volere, deve manifestare il proprio consenso nella scelta del suo Prestatore Volontario di Cura.

Preme evidenziare, inoltre, che, se si ottiene il riconoscimento di Prestatore Volontario di Cura, nessun lavoratore dello stesso nucleo, ad eccezione dei genitori, potrà accedere ai benefici di cui all’art. 33 della Legge n. 104/1992 (come, ad esempio, i permessi o il divieto di trasferimento di sede di lavoro.

Altra grave pecca del testo è la totale assenza del riferimento a tutela previdenziale, contributi figurativi, pensionamento anticipato, malattie professionali, infortuni e quant’altro.

La sensazione, leggendo tale testo, è che per i nostri politici l’attività di caregiving debba essere incentivata in quanto frutto di una scelta volontaria.

In tanti casi è certamente così.

Ma nella stragrande maggioranza dei casi, come evidenziato in premessa, l’essere careviger non è frutto di una scelta volontaria ma l’unica risposta alla totale assenza o carenza di servizi territoriali o al loro costo eccessivo.

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