L’analisi dei presupposti richiesti dalla legge sull’adozione in casi particolari non può in alcun modo essere svolta dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente l’adozione non potendo i minori essere discriminati per il solo fatto di vivere in una famiglia omosessuale.
L’adozione in casi particolari è disciplinata dagli artt. 44-55 della Legge 184/1983, così come modificata dalla Legge 149/2001.
Più precisamente, gli articoli citati prevedono che i minori possano essere adottati anche in assenza di dichiarazione di adottabilità, e precisamente nei seguenti casi:
-da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
-dal coniuge, nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
-quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992 n. 104;
-quando vi sia constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo.
In tali casi, il Tribunale per i minorenni deve verificare, ai sensi dell’art. 57 n.2 L. 184/1983, la sussistenza di due condizioni:
-Se ricorrono le circostanze di cui all’art. 44;
-Se l’adozione realizza il preminente interesse del minore.
Il fanciullo, infatti, ha diritto ad avere relazioni stabili e significative con entrambi i genitori, diritto che può essere limitato solo ove ciò appaia nel suo superiore interesse (art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).
Ed è proprio in nome del best interest del minore che la Corte di Cassazione ha pronunciato la legittimità dell’adozione del minore da parte delle coppie dello stesso sesso strette in un’unione civile e delle coppie conviventi di fatto, elevando il preminente interesse del minore a criterio guida della soluzione del caso concreto.
Ci riferiamo alla sentenza num. 12692 del 26.05.2016 con cui la I sezione civile della Corte di Cassazione, respingendo il ricorso del Procuratore generale, ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma – sez. minorenni, con la quale era stata accolta la domanda di adozione di una minore, proposta dalla partner della madre biologica, convivente con lei in modo stabile.
Ancora una volta, è la giurisprudenza a farsi portavoce delle esigenze concrete di tutela ed interprete dell’adeguamento dell’ordinamento alla coscienza sociale ed alle sue evoluzioni.
Le questioni esaminate dalla Corte di Cassazione sono state sostanzialmente due.
In primo luogo la Suprema Corte ha chiarito che l’adozione “in casi particolari” ex art. 44, comma 1 legge 1983/184 non comporta automaticamente un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, essendo, invece, necessario che tale conflitto vada accertato in concreto, caso per caso.
Del resto, già la Corte di Appello si era espressa sul punto respingendo la richiesta, avanzata dal Procuratore generale, di nominare un curatore speciale per il minore.
Nella seconda parte della sentenza, la Corte ha affrontato la questione relativa all’interpretazione dell’art. 44, comma 1 lettera d) l. 1983/184, il quale prevede che l’adozione di minori possa avvenire (ove non ricorrano i presupposti per l’adozione legittimante ”in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo“.
Da tempo la giurisprudenza si è interrogata in merito al significato da attribuire al termine “impossibilità”.
Di recente si è consolidata un’interpretazione estensiva, volta a concepire l’impossibilità non più solo come “di fatto“, ma anche “giuridica“, ossia “di diritto“, consentendo, in tal modo, l’adozione anche nell’ipotesi in cui il minore non si trovi in uno stato di abbandono in senso tecnico-giuridico.
La Corte di Cassazione, accogliendo questo orientamento e i vari interventi legislativi in materia di filiazione, tutti ispirati “alla tutela e al perseguimento del “best interest” del minore” ha affermato che un’interpretazione restrittiva ostacolerebbe proprio il perseguimento del suddetto interesse, non consentendo la stabilizzazione e il riconoscimento giuridico di quei legami affettivi, che, invece, per il minore costituiscono punti di riferimento.
L’obiettivo, quindi, è il consolidamento dei rapporti tra il minore e le persone che già si occupavano di lui, come precisato anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 383/1999, richiamata espressamente dalla Corte Suprema.
Interessante è poi il richiamo fatto dalla Corte di Cassazione alla più recente giurisprudenza della Corte EDU secondo la quale l’analisi dei presupposti richiesti dalla legge non possa in alcun modo essere svolta, anche indirettamente, dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente l’adozione, e alla conseguente natura della relazione stabilita con il proprio partner.
In parole semplici, i minori non possono essere discriminati per il solo fatto di vivere in una famiglia omosessuale, sussistendo anche per quest’ultimi un diritto alla continuità affettiva e alla stabilità dei rapporti affettivi e familiari già formatisi, ribadendo, ancora una volta, la centralità del minore per ogni tipo di coppia, etero ed omosessuale.